I N T R O D U Z I O N E
(Contestualizzazione della versione in italiano moderno del “Decameron” di Boccaccio, a cura di A. Busi)


Avvertimento ai lettori (Christian, Danilo, Domenico, Samuele)


Ogni volta che, amabilissimi lettori, pensiamo a quanto voi tutti siate tentati di uscire
e dimenticare ciò che sta accadendo, non possiamo evitare di pensare che storcerete
la bocca davanti alla nostra semplice opera.
L'approccio sarà duro e triste, proprio come il doloroso ricordo della mortalità che sta
causando il Covid-19, sia per quanti lo stanno vivendo sulla propria pelle sia per quanti
lo sentono raccontare in tv. Ma, detto questo, non vogliamo spaventarvi a tal punto
da farvi chiudere il libro di botto, quasi non vi resti altra scelta che dare sfogo al dolore
per quanto causato dal virus. Questo brutto inizio deve essere considerato come una
rapida salita che improvvisamente vi condurrà a una bellissima valle, tanto più bella
quanto maggiore è la fatica di arrampicarvisi. E se all’ estremità della felicità nasce il
dolore, è anche vero che le sfortune umane, arrivate al limite, cedono alla gioia. Quella gioia
che proveremo tutti quando saremo liberi di tornare alla nostra vita
normale.
Dovremo iniziare raccontando il dolore per poi passare a quella dolcezza, quel piacere
che vi abbiamo promesso è che, forse, dato l'inizio, nessuno si aspetterebbe. A essere
sinceri, se ci fosse stata una possibilità di farvi arrivare dove desideriamo per un
sentiero meno difficile, l’avremmo presa al volo, ma, dato che non è possibile uscire
di casa, per via di questo perfido virus, speriamo che le cose che leggerete vi faranno
compagnia come l’hanno fatta a noi.


La diffusione del coronavirus (Adriana, Angelo, Ettore, Marco, Stefano)


Correva dunque l’anno 2020 dalla nascita di Cristo, allorché in Italia, la bella nazione
ricca di cultura e tanto ammirata dai turisti, soprattutto per i suoi cibi, si diffuse il
coronavirus, detto anche Covid-19 (dove “CO” sta per “corona”, “VI” per virus e “D”
per ‘disease’, che vuol dire “malattia” in inglese, mentre “19” serve per indicare l’anno
di identificazione di questa malattia, individuata proprio alla fine del 2019).
Qualcuno sostiene che provenga da certi “cibi” mangiati dai cinesi; altri, che sia stato
creato in laboratorio. Certo è che si era diffuso in Cina dal dicembre 2019 e, in due
mesi, aveva causato lì un numero impressionante di vittime.
Lontano dal rimanere in un unico posto, si era poi sparso ai quattro venti fino a
dilagare in tutto il mondo. Contro di esso non si riusciva a trovare un vaccino né un
antivirale. Era difficile impedirne la diffusione, pur restando a casa il più possibile, pur
mantenendo le distanze, pur mettendosi la mascherina e disinfettando le strade.
Verso la fine di Gennaio, malgrado tutte le direttive sulla salvaguardia della salute
pubblica, le ripetute indicazioni a lavarsi bene le mani e a non uscire troppo di casa,
il coronavirus cominciò a diffondersi in modo orribile e portentoso. La forza
dirompente di questa pandemia stava nel fatto che dagli ammalati veniva trasmesso
agli altri, che venivano quindi contagiati. Poteva colpire anche i più sani, perché gli uni
avevano a che fare con gli altri, inevitabilmente, non diversamente dal fuoco con le
cose secche o unte che hanno la sola sventura di trovarsi lì nei dintorni.
E come era successo in Cina, una forte polmonite significava morte inevitabile, perché
si annidava nei polmoni, soprattutto quelli malati, fino a bloccare tutte le vie
respiratorie.
Questo virus prendeva, di punto in bianco, uomini e donne di tutte le età; sembravano
annaspare, non riuscivano a parlare e a fare niente: tosse, febbre, stanchezza e, in
casi più gravi, difficoltà respiratorie. E poi c’erano gli asintomatici; in loro questi
sintomi non comparivano, rendendo il virus più invisibile di quanto non lo fosse già e
aumentando dunque il rischio di contagio. Ogni giorno, facendo i tamponi, si
scoprivano nuovi contagiati.
Niente e nessuno riusciva a porre fine a questa epidemia, né i
consigli dati in tv né i medici; non si cavava un ragno da un buco. Molti contagiati, moltissime vittime. Gli
ospedali non sempre bastavano; le terapie intensive erano insufficienti. Si costruirono
ospedali da campo, si allestirono capannoni.


Medici e infermieri (Domenico, Giovanni, Paolo, Valeria)


Lasciamo perdere il fatto che ogni cittadino aveva paura di ogni altro, che nessuno si
avvicinava all’altro, che i parenti non si vedevano mai, se non tramite videochiamate
o a distanza. I genitori erano molto rigidi sul fatto che i propri figli non dovessero
uscire di casa, per motivi di sicurezza e salute. Potevano farlo solo se venivano
mandati a fare la spesa oppure ad acquistare altri beni di prima necessità, ovviamente
con le necessarie precauzioni.
A chi si ammalava non rimaneva altro, per guarire, di essere portato in ospedale. Non
si poteva restare a casa, perché non c’erano ancora delle cure e poi le persone infette
erano molto contagiose. In ospedale trovavano molti infermieri bardati da testa a
piedi e non si capiva se fossero femmine o maschi, solo i loro occhi stanchi, spesso
amorevoli, fornivano le cure all’ammalato.
I medici non avevano medicinali specifici, però con quelli a disposizione per curare
febbre, tosse, raffreddore e con l’utilizzo di ventilatori polmonari facevano il loro
meglio. A volte il paziente spirava e solo la mano pietosa di un medico lo confortava
nel trapasso. A volte davano al malato il loro cellulare per fargli vedere, un’ultima
volta, i suoi cari.
Eroi li chiamavano questi medici e infermieri. Molti di loro hanno perso la vita, per
salvare quella di chi aveva contratto il virus.


Il sovvertimento delle norme sociali e civili (Alessandro, Francesca, M. Maddalena, Martina, Nicola)


Perché ne morivano tanti? Per le strutture insufficienti e per la carenza di macchinari
respiratori che servivano a tenere in vita i pazienti gravemente colpiti. Il virus era
molto acuto e non si conosceva molto a riguardo. Soprattutto gli anziani non
riuscivano a combatterlo per le poche difese immunitarie e anche per le malattie che
avevano in precedenza. La vera strage avvenne nelle case di riposo.
In pochissimi giorni, grazie anche alle campagne di donazioni, aperte da influencer,
seguiti da milioni di follower, ci sono state tante offerte per la ricerca.
Molte persone guarivano, ma il numero dei morti aumentava a dismisura e i defunti
non erano assistiti dai parenti, come solitamente era sempre avvenuto nelle società
civili. Morivano soli, in un letto d’ospedale, circondati da medici e infermieri distrutti
da turni massacranti. Non potevano ricevere neanche un dignitoso funerale, tutti i
corpi venivano ammassati in bare caricate su furgoni militari che li portava a cremare.
Abbiamo assistito impietriti alla lunga fila di carri militari pieni di cadaveri che
uscivano silenziosi da una Bergamo attonita. Sembrava di tornare indietro nel tempo,
ai forni crematori dei campi di concentramento che non bastavano per tutti.
Molti cittadini chiusi in casa, non sapendo cosa fare, organizzavano flash-mob, si
riunivano stando sul proprio balcone a cantare a squarciagola. Doveva essere un
incoraggiamento, ma purtroppo molti esageravano, con la musica a tutto volume,
dando fastidio ad altre persone che in quel momento lavoravano in smart working
o studiavano.


I provvedimenti (Gabriel, Girolamo, Michelangelo)


Peggio di tutti stava il popolino. Non solo per il virus, che non distingueva tra persone
povere e ricche, ma soprattutto per la crisi economica: mancanza di lavoro e quindi
mancanza di reddito.
Il governo non è stato con le mani in mano, ha preso subito seri provvedimenti per
garantire prioritariamente la salute: ridurre al minimo gli spostamenti in tutti i modi,
fermando tutto il Paese, chiudendo le scuole, tutte le aziende non di prima necessità
(bar, ristoranti, parrucchieri, estetiste, ecc.), interrompendo tutto il mondo dello
sport. Insomma la vita quotidiana si è fermata innescando il famoso lockdown.
Successivamente il governo è intervenuto per sostenere chi aveva gravi difficoltà
economiche persino per l’acquisto di beni di prima necessità, per le partite Iva, per i
cassa-integrati, per i settori colpiti.
Il Paese si è fermato, ma non è stato fermo grazie allo smart working; la socialità si è
bloccata, ma non si è interrotta e anche essendo distanti, grazie alle videochiamate,
abbiamo continuato a “frequentarci”.



Conclusione


Che più si può dire, se non che tanta e tale fu la crudeltà del cielo, ma soprattutto la
(irr)responsabilità degli uomini, che tra il febbraio e l’aprile del 2020 oltre trentamila
creature morirono nel nostro Paese (molti dicono che i numeri non rispecchiano la
realtà e che sarebbero molti di più).
Le città si spopolarono e la loro bellezza divenne, assieme, impressionante e
meravigliosa.
Gli animali ripresero possesso della Terra, resa più pulita nell’aria e nell’acqua.
Le scuole si riconvertirono con la didattica a distanza. Molti la criticarono e
rimpiansero la presenza e la relazione. Ma si fece di necessità virtù e ancora una volta
ogni maestro e professore tirò fuori il meglio di sè.
Gli alunni capirono appieno l’importanza della Scuola e attesero con ansia di potervi
ritornare.


La Scuola è morta, W la Scuola!